1.3 La rivoluzione copernicana dell'IBM
Un paragrafo del libro di Luca Accomazzi pubblicato nel giugno 2005: “Il Signore nell’Ombra”
La più grande casa americana di macchine per calcolo da ufficio, la International Business Machines (meglio nota con la sigla di IBM) aveva assistito con molto scetticismo alla nascita dei calcolatori elettronici. Tuttavia, come suo costume, una volta assistito alla nascita del fenomeno ci si lanciò con la forza del suo impero di risorse economiche e umane, divenendo forza trainante e prima casa del mercato, nei primi anni '50.
Nell'aprile del 1963 la IBM annunciò la sua Serie /360 di elaboratori, destinata a sconvolgere la stessa concezione di sistema operativo. Nella serie /360 infatti, tutte le macchine, dalla più economica alla più complessa e veloce, utilizzavano lo stesso software e lo stesso sistema operativo (chiamato OS/360): questo favorì la diffusione iniziale della serie, perché una azienda poteva noleggiare a costi abbordabili un modello economico e poi, al crescere delle esigenze, passare a un elaboratore più potente ed evoluto senza toccare i programmi già sviluppati e funzionanti.
Inoltre, IBM introdusse per i /360 una larga serie di simulatori ed emulatori dei suoi precedenti modelli: grazie a questi marchingegni software ed hardware, chi avesse deciso di passare ad un nuovo modello soppiantandone uno superato poteva utilizzare tutti i programmi sviluppati per il vecchio computer. L'innovazione smussò di molto le difficoltà che si erano sempre incontrate in ogni ditta all'idea di ammodernare l'installato, e decretò l'immediata approvazione del mercato.
Queste idee chiave, che oggi sono seguite pedissequamente dalle case costruttrici di ogni ordine e grado, ebbero un tale impatto sul mercato da decretare, tra l'altro, la prematura scomparsa di due tra i più agguerriti concorrenti di IBM: la RCA e la General Electric, che credettero di trovare punti deboli nella strategia IBM e consumarono inutilmente le proprie risorse nel tentativo di elaborare una risposta efficace.
La terza grande contribuzione all'informatica da parte dell'IBM venne nel '70, con il processo che gli americani chiamarono software unbundling . Sino a quella data, un acquirente comprava nsieme al computer (o, più spesso, insieme ai diritti d'uso del computer poiché la politica delle Case era quella di noleggiare e non vendere i propri prodotti) tutto il software di cui aveva bisogno. Dunque il software veniva spesso considerato, specie dai rivenditori, un articolo minore fornito per pura gentilezza, e sul quale non andava comunque fatto alcun affidamento. H.M. Deitel, nel suo An introduction to operating systems , consiglia al lettore di procurarsi vecchi contratti di noleggio al puro scopo di sfogliare tutte le clausole che ponevano ogni conseguenza dell'uso di quel software sulle spalle dell'utente: come massima gentilezza, il produttore pubblicava regolarmente lunghe liste di errori riconosciuti, precisando che gli utenti avrebbero dovuto evitare di usare quelle opzioni o fornire quei dati che facevano impazzire il programma difettato.
IBM decise che software e hardware andavano venduti separatamente, anche se questa decisione era di dubbia efficacia commerciale. In questo modo venne dato fortissimo impulso ai produttori di software indipendente, che sino a quel momento avevano trovato forti difficoltà a piazzare i propri prodotti presso acquirenti che disponevano già di programmi, certo non altrettanto efficaci ma comunque compresi nel prezzo. Si sviluppò così una nuova scienza, la ingegneria del software , che studia tecniche di programmazione per realizzare software più completo, più semplice da usare, più veloce, in una parola migliore.
Dopo poco tempo, il software finì per assumere un ruolo centrale nei contratti di acquisto e noleggio, realizzando così nei confronti dello hardware quella rivoluzione copernicana cui abbiamo accennato nel titolo del paragrafo, e su cui ci dilunghiamo nel prossimo.
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Originariamente pubblicato in data 06/06/2005