Originariamente pubblicato in data 12/12/2009
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Novecento
Novecento
Il mio articolo stile Amarcord per il numero 200 di Macworld Italia
I duecento numeri di Macworld Italia cominciarono nel Novecento. I ricordi di chi, in quei tempi lontani, incredibilmente c'era già.Duecento numeri! Sembra incredibile che Macworld Italia sia già arrivata a questa cifra. Quanta strada fatta, quanti progressi. Quando abbiamo cominciato, nel 1991, nessuno di noi avrebbe mai potuto immaginare la possibilità dopo neppure venti anni di avere sul tavolo un Macintosh con otto processori e un disco rigido da due terabyte completamente pieno di spam intitolata "Berlusconi ripreso mentre fa sesso con una escort, clicca qui" e poi il link verso un virus per PC. Ho scritto sulla stragrande maggioranza di questi duecento numeri, per la precisione su 186 di essi. Questo mi fa riflettere: anche se io fisicamente dimostro sedici anni, evidentemente ne ho almeno diciotto, forse persino diciannove. In questo momento viene spontaneo ripercorrere col pensiero questi anni passati insieme ad esaminare il progresso tecnologico e torna un attimo da magone al pensiero del grande Tony Stanley, l'Avvocato del Diavolo, strappatoci da un male incurabile e fulminante che gli ha impedito di continuare a deliziarci con il suo sapiente humour in punta di penna, ovviamente e per definizione britannico. Spero di aver imparato qualcosa da Tony, con la sua abilità di passare dall'arguzia al commento senza mai scendere nella pura cronaca. Una cosa l'ho appresa solo recentemente. Lui vestiva scherzosamente -- come accennavo sopra -- i panni del legale difensore di Satana e io sostenevo su queste pagine che la sua abilità di commentare puntualmente e rapidamente i fatti d'attualità dipendeva da un patto con diavolo: mentre io dovevo rispettare i tempi di consegna redazionali lui poteva consegnare in redazione il suo articolo una settimana dopo l'uscita in edicola. Solo negli ultimi anni, quando Francesco Pignatelli è divenuto curatore editoriale, è invalsa l'abitudine per noi opinionisti di mandargli i nostri contenuti mettendoci l'un l'altro in copia carbone per informarci reciprocamente degli argomenti che trattiamo. Solo allora, appunto, ho appreso l'agghiacciante verità: io consegno nel giorno prefissato mentre tutti gli altri spediscono gli articoli con colossali ritardi.
Tony cominciò a scrivere i suoi articoli d'opinione sin dal primo numero mentre io, parvenu che non sono altro, arrivai soltanto nel quinto, strappato alla concorrenza di un'altra casa editrice al suono di centinaia di migliaia di lire (due di esse, per la precisione). Nel primo periodo, ragazzetto squattrinato che non ero altro, venni attratto nella cerchia di Enrico Lotti soprattutto dalle attività come recensore (oggi, naturalmente, collaboro ancora con la redazione soprattutto per via del nugolo di procaci ragazzette assatanate di sesso che pullulano attorno alla sede della casa editrice e si catapultano sui giornalisti informatici, compresi quelli come me che hanno ormai passato, ma di poco, i diciotto anni; dovreste vedere il Pignatelli com'è ridotto, pover'uomo). Calcolatori, accessori e programmi in quell'era lontana costavano cifre molto più alte rispetto ad oggi (una semplice conseguenza del fatto che ne venivano prodotte quantità minori). Allora come adesso vigeva una strana consuetudine: se recensisci un pacchetto software resta tuo. (Al contrario, se recensisci un prodotto hardware lo restituisci al mittente, e anche se ci sono applicazioni che costano migliaia di euro e apparati da cento euro o giù di lì la strana consuetudine sembra reggere). Ero dunque ben felice di incamminarmi fino in redazione e vedere se c'era qualche cosa che mi sarei potuto portare a casa. L'altro prestigioso fringe benefit dell'appartenere al novero dei collaboratori di Macworld Italia stava nella possibilità di leggere prima di chiunque altro la rivista ammiraglia, quella americana. Mi rendo conto che ai più giovani sembrerà che io stia parlando del medioevo, ma nel 1991 il web era poco più che un sogno nell'occhio di Tim Berners Lee e per informarsi su cosa succedeva nel mondo informatico non c'era altra alternativa che leggere le riviste di settore. Macworld USA arrivava nel nostro Paese via nave, come tutti i prodotti pesanti e dallo scarso costo unitario, una situazione che mi ha sempre ricordato i fumetti di Asterix dove il pescivendolo importa i suoi prodotti freschissimi da Massilia su carri trainati da buoi. La redazione di Macworld Italia, nella persona di Sua Direzione Imperiale, Enrico Lotti, riceveva però ben cinque copie di ogni numero per posta aerea dalla casa editrice americana in modo da poter lavorare tempestivamente sulle traduzioni e io come editorialista avevo il diritto di portarmene via un esemplare, praticamente tre mesi prima che chiunque altro in Italia potesse conoscere le notizie e accedere agli approfondimenti. Questo mi rendeva, con i clienti della mia attività di consulente e con gli altri addetti ai lavori dell'area informatica, una specie di semidio. In quegli anni lavoravo come insegnante (di informatica, di ruolo, nella scuola secondaria superiore, quello che oggi si chiama liceo tecnologico e ai tempi si chiamava istituto tecnico) e arrotondavo il magro (allora come ora) stipendio facendo il consulente. Programmavo, allora come ora: a quei tempi lavoravo direttamente su Mac OS. La cosa continuò sin verso il 1996 quando mi resi conto con agghiacciante chiarezza di una straordinaria limitazione dei Macintosh che li rendevano una piattaforma del tutto inadeguata per fondarci sopra una carriera professionale, specialmente se si sperava di avere una famiglia e magari dei figli. I Macintosh presentavano la deprimente caratteristica di funzionare bene: tu andavi da una azienda cliente, installavi il sistema operativo per benino, insegnavi all'ultimo arrivato a fare quel poco che serviva, magari scrivevi un software ad hoc per un compito particolari, quelli ti ringraziavano e ti pagavano e non avevano più bisogno di te per anni. Inaccettabile.
Viceversa, le attività da programmatore mi fruttavano benino e le riviste di informatica attraversarono un periodo di grandissimo spolvero dovuto al fatto che anche cani porci e promotori finanziari cominciavano ad acquistare calcolatori a man bassa. Decisi di fare il gran passo. Mi licenziai dal mio posto fisso di professore, suscitando lo sgomento e l'orrore dei miei anziani genitori (rendetevi conto che discendo da una lunga e orgogliosa dinastia di segretari comunali) e accettando una serie di incarichi che tra l'altro comprendevano uno strapuntino da redattore a Macworld. Un giorno la settimana lo passavo per intero in redazione alle dipendenze di Lotti. È stato così che ho avuto l'occasione di fare la conoscenza col buon Mauro Calderara detto il Cannella, signore degli sconfinati spazi cartacei, dominatore dei font, pio missionario al servizio delle vedove e degli orfani (tipograficamente parlando), supremo difensore delle bozze e delle cianografie, impaginatore di Macworld. E con la consuetudine della bottiglia di lambrusco che tradizionalmente si stappava alla chiusura di ogni numero della rivista. In quegli anni, responsabile della vendita degli spazi pubblicitari di Macworld Italia era un giovanotto che rispondeva al nome di Mario Toffoletti. Svettava, e non lo dico per piaggeria: prima e dopo di lui ricordo con agghiacciante chiarezza una sfilata di personaggi che… vabbeh, lasciamo perdere. Video killed the radio stars, come è ben noto, e da parte sua il web non ha fatto bene alla carta stampata che con l'avvento dei siti di ultim'ora ha fatto dei gran bei passi all'indietro (numericamente parlando). Così l'editore originale scelse di ritirarsi e, per farla assai breve, il Toffoletti oggi lo trovate nominato in ultima pagina come editore. Io feci un passo perpendicolare e mi misi a programmare soprattutto sul web, professione che pratico ancora oggi. Il sito di Macworld è basato su un sistema di editoria web che ho scritto io, ed è uno tra oltre trecento, e nei trecento c'è persino la concorrenza di questa casa editrice. Credo di aver fatto la scelta giusta, professionalmente. Il consulente Mac a cui ho lasciato gran parte dei miei clienti si ammazza col mutuo, capirete…
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Luca Accomazzi (www.accomazzi.net) vi da appuntamento sulle pagine di Macworld Italia per il numero trecento. Chi manca peste lo colga.