La stampante 3D
Uno scienziato della Università di Bath, Adrian Bowyer, ha presentato un prototipo di stampante tridimensionale a basso costo.
Uno scienziato britannico della Università di Bath, Adrian Bowyer, ha presentato un prototipo di stampante tridimensionale a basso costo. Le stampanti tridimensionali non sono una novità assoluta, anzi, ne esistono già sul mercato da una decina di anni, ma a costi proibitivi per i comuni cittadini: a partire da 29.000 franchi in sù. Una comune stampante prende l'immagine di un documento dalla memoria del calcolatore e la trasferisce su carta usando inchiostri; una stampante 3D invece prende dal PC un progetto tridimensionale (per esempio un edificio in scala, un portacenere, una statuetta, un circuito disposto su una piastra, un bicchiere...) e fonde un materiale plastico mischiandolo a colla e creando l'oggetto fisico. Alcuni modelli di punta utilizzano una miscela di metalli polverizzati al posto della plastica e altri invece partono da un blocco solido, cubico, di materiale che poi scolpiscono con un raggio laser per realizzare il prodotto finito, proprio come uno scultore parte da un solido pezzo di marmo per arrivare alla statua usando martello e ceselli. L'industria automobilistica utilizza di routine questo tipo di apparati per produrre alcuni componenti plastici usati nelle vetture; il loro uso è diffuso anche in campo aerospaziale e persino per produrre i componenti usati negli apparati uditivi. Le stampanti 3D sono anche molto utilizzate nella prototipazione, e cioè durante lo sviluppo di un nuovo prodotto, quando è necessario studiarne numerose varianti e confrontarle, oppure per realizzare modellini da presentare a finanziatori, progettisti e potenziali clienti.
Lo sforzo del dottor Bowyer sta nell'abbattere i costi — secondo i suoi calcoli, la stampante finirebbe per costare meno di mille franchi all'acquirente finale — grazie anche alla possibilità di stampare... una nuova copia della stampante! Il RepRap (così si chiama il prototipo dello scienziato, contraendo la frase "replicatore rapido") sarà in grado di stampare, pezzo dopo pezzo, una copia di se stesso, che poi l'operatore umano potrà assemblare aggiungendo solo grasso lubrificante e il microprocessore centrale. Poiché la macchina non richiede l'uso del laser, ma è essenzialmente un dispositivo meccanico controllato dall'elettronica del PC, gran parte del costo è semplicemente quello della materia prima con cui vengono riprodotti i pezzi. L'idea originale che ha ispirato lo scienziato britannico e i suoi collaboratori, tutti dottorandi dell'Università, venne negli anni CInquanta al grande matematico John von Neumann, uno dei padri dell'informatica moderna, quando propose un dispositivo chiamato il Costruttore Universale. La NASA, alcuni anni fa, aveva anche immaginato un progetto a lungo termine di macchine esploratrici spaziali autoreplicanti, che userebbero i materiali disponibili nella fascia degli asteroidi (tra Marte e Giove) per costruire copie di se stesse da spedire ovunque nel sistema solare in modo da spedire a casa immagini di ogni sua remota nicchia a prezzi bassissimi. Per ora l'idea è stata accantonata come tecnologicamente troppo complessa e remota, ma potrebbe venire rispolverata in futuro. Il lavoro di Bowyer, che lo impegna dal febbraio 2004 e che non sarò completo prima di un altro anno almeno, è il primo tentativo di tradurre in realtà l'idea di macchina autoreplicante — lasciando comunque all'operatore umano il compito di assemblare i pezzi costruiti uno ad uno da RepRap per ottenere il prodotto finito. Una idea che non spaventa chi abbia passato parte dell'infanzia a giocare con i mattoncini Lego.
RepRap funziona fondendo indifferentemente una lega metallica polverizzata o materiale plastico. Nel primo caso si utilizza una miscela di bismuto, piombo, alluminio e cadmio, tutti caratterizzati da un punto di fusione relativamente basso. Per ora è necessario cambiare il sistema di ugelli a mano quando cambia il materiale di base (da metallo a plastica o viceversa), ma il dottor Bowyer conta di realizzare un modello in cui ciò non sia più necessario. Poiché il metallo conduce la corrente elettrica mentre la plastica le resiste, il RepRap può venire utilizzato per stampare piastre circuitali. I pezzi che escono dalla stampante tridimensionale possono misurare un minimo di due millimetri e un massimo di trenta centimetri in ciascuna delle tre dimensioni spaziali. Il prototipo attuale è grande quanto una lavatrice ed è costato 37.000 euro per lo sviluppo. A mo' di dimostrazione, RepRap è stato utilizzato davanti ai giornalisti presenti alla conferenza stampa per stampare in pochi minuti tutta la circuiteria di un piccolo robot autosemovente e funzionante a pile, visibile nella fotografia che accompagna questo articolo.
Adrian Bowyer non ha brevettato il suo lavoro e non intende farlo in futuro. Anzi, nel marzo scorso ha pubblicato su Internet i programmi informatici che pilotano e governano la stampante 3D [http://staff.bath.ac.uk/ensab/replicator/] e si propone di fare lo stesso con i piani di costruzione della stampante stessa non appena sarà completa. La sua speranza è che numerosi appassionati del fai-da-te e della programmazione si interessino all'idea, ne costruiscano una copia, ne stampino ulteriori esemplari per gli amici, contribuiscano al miglioramento dei suoi codici. Una distribuzione "virale" che, nelle speranze dei progettisti, potrebbe portare una copia del RepRap in quasi tutte le case. Lo scienziato britannico ha così adattato il principio dello
open source, la libera contribuzione a progetti informatici come il sistema operativo Linux, all'industrial design.
Originariamente pubblicato in data 29/04/2005