COME FERMARE LE FAKE NEWS (O FORSE NO)

Una ricerca sulla diffusione delle fake news sui social mostra possibili soluzioni al fenomeno, ormai sempre più diffuso


01/02/2023 - Mario Radano

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Sul web (ed in particolare nei social media) il problema delle fake news serpeggia costantemente e la disinformazione è ormai consolidata come uno dei problemi sociali del nuovo secolo. A tal proposito una recente ricerca (che potete trovare in fondo all’articolo) studia le cause dietro alla massiccia condivisione di notizie false. Uno dei possibili colpevoli è la mancanza di senso critico da parte di chi condivide le notizie: nella miriade di contenuti che raggiungono la nostra attenzione non è sempre semplice separare il vero dal mendacio, specialmente se ciò che leggiamo è in linea con le nostre ideologie o attacca i nemici dei nostri valori.

Ciò che viene osservato però è diverso: la condivisione di notizie false si imputa all’abitudine consolidata di certi utenti di condividere il più possibile al di là del contenuto. I test effettuati erano basati sul chiedere ai soggetti se condividerebbero o meno determinati titoli, alcuni veritieri e altri palesemente falsi. Tra i soggetti, attraverso dei questionari, sono stati individuati gli  “habitual sharers”, ovvero coloro che condividono quotidianamente notizie e partecipano attivamente sui social media. Questo gruppo risultò significativamente più propenso alla condivisione di fake news, e non solo. In una serie successiva di test, a metà dei soggetti veniva chiesto di giudicare la veridicità dei titoli prima di condividerli, all’altra metà veniva affidato lo stesso compito, ma successivamente alla condivisione. I risultati confermarono l’ipotesi iniziale, infatti chi degli habitual sharers veniva interrogato prima della condivisione sulla veridicità delle notizie, riusciva a distinguerle meglio dell’altro gruppo.  Questo, secondo i ricercatori, è dovuto al meccanismo quasi automatico di condivisione dei soggetti, che ricevono una sorta di ricompensa attraverso i social (likes, ricondivisioni, etc…). A causa di questa spinta a condividere contenuti, il giudizio di veridicità della notizia viene completamente bypassato: i partecipanti infatti, se forzati a usare senso critico prima di condividere le notizie, tendenzialmente riescono a discernere il vero dal falso. Non finisce qui: attraverso un sistema di ricompense che premia chi condivide notizie vere, i soggetti vengono “addestrati” facilmente a giudicare con accuratezza i contenuti proposti,  andando a dimostrare che i limiti degli utenti o le loro preferenze politiche non sono imputabili come causa principale della diffusione di fake news.

Nella ricerca viene teorizzato un possibile nuovo meccanismo di condivisione. L’ecosistema attuale è basato su algoritmi che promuovono la popolarità dei contenuti: viene sostenuto chi è più condiviso e chi ha più apprezzamenti (il cosiddetto engagement), in sostanza chi genera più partecipazione, e quindi più traffico.  L’utente è invitato a condividere il più possibile (basta un solo click) a prescindere dal contenuto della notizia. E se fossero proprio Facebook, Twitter e gli altri social a premiare gli utenti che eseguono il cosiddetto fact checking prima di condividere qualcosa, magari attraverso un sistema di ricompense?

La soluzione al problema sembra davvero semplice e rapida e la società in cui viviamo farebbe un grande passo avanti. Allora perché non è mai stato attuato un sistema simile? Tali cambiamenti potrebbero creare un  clima molto più salubre sui social, ma ridurrebbero il traffico di contenuti e giustamente non conviene a chi ne trae profitto.  Il problema però può essere visto anche come una conseguenza di ciò che l’utenza desidera. Se al proliferare di notizie false o manipolazioni atte a polarizzare l’attenzione delle persone in modo fine a se stesso, gli utenti abbandonassero i social, o virassero verso altri portali, certi sistemi sarebbero in funzione già da tempo sempre in funzione di ciò che conviene dal punto di vista commerciale o sarebbe già sorto un nuovo social di successo in cui la parola d’ordine è la qualità dei contenuti . In conclusione,  social media che promuovono la veridicità dei contenuti piuttosto che disinformazione e “contentini” per gli utenti non avrebbero mercato e non molti sembrano davvero averne bisogno.

La ricerca: https://www.pnas.org/doi/10.1073/pnas.2216614120

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